-Ah si, lo so bene che è difficile…lo dici a me? Che sono diventata omofoba? Dopo…dopo…- “Dopo di te” avrei voluto dirlo, ma l’ho sottointeso, è una cosa che so che odia di me. E poi no, in realtà non sono omofoba, semplicemente, come potrei baciare una donna che non è lei? Come pensare al corpo di un'altra che gode al mio tocco, ma che non sia lei? Come ADOrare un’altra che non fosse lei? Amarla, odiarla. No impossibile. Lei è Lei. Precisa, dura, secca, ma mai con me. Ero la sua preferita, lo sono ancora, lo so, ce lo diciamo ogni volta, come per riattizzare il fuoco fra di noi. Lei la prima, l’unica. Dopo, nessuna poteva eguagliarla. Lei è lei. Conoscevo i suoi pregi, i suoi difetti. I suoi punti deboli, e quelli di forza. Era la donna da imitare, da ammirare. Da volere ancora.
Era bella da morire, lo sguardo poteva trapassarti come una lama affilata, e come quella farti a piccoli pezzi.
La vidi fare una lieve smorfia spostando i piedi chiusi in delle scarpe dal vertiginoso tacco. Sorrisi. Sapevo di cosa avrebbe avuto bisogno. E ne ero tentata.
Mi alzai dal divano tenendo il bicchiere di un qualche alcoolico che nemmeno avevo assaporato. Lo stavo sorseggiando solo per sentire quella sensazione di bruciore dentro. Quel bruciore che mi faceva sentire di meno il cuore battere sulle costole. Lei mi fissava, il suo sguardo penetrante, mentre mi alzavo camminando avanti e indietro.
Non la guardavo mai negli occhi, nemmeno un tempo, altrimenti avrebbe visto. Si mi poteva leggere come un libro aperto, ed era l’unica che riusciva a farlo, che poteva penetrare nella mia anima.
Sospirai pesantemente. -È difficile anche rimanere qui e…- “Stare al mio posto, e vederti mentre metti ai tuoi piedi chi vuoi, e guardarti senza toccarti.” Lo pensai di nuovo non lo dissi lasciandolo in sospeso.
Restava in silenzio. Sapevo cosa voleva. Ma non ero pronta ad ammetterlo con me stessa, né a farlo con lei. Mi passai una mano fra i capelli. Tendendo la maglietta sui seni stretti in un ridicolo reggiseno che nascondeva appena le punte dei miei capezzoli inturgiditi, da come ero entrata in quella stanza. Sapevo che se avessi ceduto, sarebbe ricominciato. E non ero sicura di riuscire a mettermi di nuovo ai suoi piedi. O meglio si che sapevo che lo avrei fatto. Ma ero cambiata, ero maturata.
Buttai giù in un sorso il contenuto del bicchiere. Il bruciore mi alleviò la sofferenza interiore. Avrei dovuto rifiutarmi di andare là, ma era cosi, con lei, attraeva le persone come calamite.
La scusa dell’omofobia era quella, una scusa, c’erano state donne che mi avevano attratto, ma non erano Lei. Come avrei potuto stare con qualcuno che non era lei, che non parlava come parlava lei, come si muoveva lei. Nessuna era Lei. Nessuna poteva oltrepassare quel limite, che inconsciamente avevo messo, solo perché non erano Lei. E non mi andava nemmeno di farglielo sapere. Aveva già troppo potere su di me, e lo sapeva. Le sarebbe bastato ordinarmi qualsiasi cosa, e lo avrei fatto. Ma non voleva questo da me. Era una mia scelta, il suo modo di dominarmi. Io dovevo inginocchiarmi, io dovevo sottomettermi. Per questo la amavo, e la odiavo contemporaneamente, i due lati della stessa medaglia, faceva a tutti quell’effetto, lo avevo visto negli anni. La amavi con un intensità da farti scoppiare il cuore, e la odiavi per lo stesso motivo. Perche lo sapeva. Lei era forse l’unica a saperlo. Perché era Unica.
Non si può tornare indietro sulle vie precedenti. Si può solo andare avanti. E anche se non dietro di lei, ormai era un pezzo che camminavamo al fianco dell’altra, anche se su strade parallele.
Ero cresciuta, ero evoluta, ero diversa. Lei lo sapeva. E non chiedeva. Avrei potuto mettermi di fronte a lei, in ginocchio, prendere quei suoi piedini stretti in quelle scarpe, levargliele. Massaggiarle e baciarle i piedi per ore. Venerarle quei piedi, che erano il suo punto debole. Piedi che avevo massaggiato, baciato, leccato e succhiato. Dovevo fare violenza su me stessa per non farlo ancora. Adoravo i suoi piedi. Passare i pollici sulle piante, spingere in alcuni punti, sentirla gemere. Sentire che godeva di quel tocco, sentire il suo profumo di donna espandersi nelle mie narici. Continuare il massaggio salendo piano sulle caviglie. Amavo massaggiarla lentamente, salire per gradi, senza fretta. Non l’avevo mai toccata piu su delle ginocchia. Quando ero sua, c’era presente anche qualche maschio inginocchiato. E le mie voglie le mie passioni per lei, venivano soddisfatte da un altro. Avrei voluto ringhiare. Far uscire il puro istinto animale. Baciarla fino a lasciarla senza respiro, ma non era per lei. Quella parte era mia. La volevo, volevo vederla godere di me, infilare dita, bocca, lingua in punti che rari avevano potuto toccare. Desiderio puro. Era così lei. Amava farsi desiderare e portare quel desiderio a livelli di dolore. Anche per questo la amavi e la odiavi insieme. La vedevi sempre, mentre ti tesseva la sua tela intorno, e invece di scappare la guardavi mentre ti avvolgeva nel filo del suo piacere, nel filo dei suoi giochi, da predatrice diventava la tua linfa.
Scossi la testa. Era ciò che facevo anche io con gli uomini. Entravo nelle loro teste, fino a muoverli come marionette. Ma con lei. Emisi una lieve risatina. Sapeva cosa pensavo, come pensavo. A CHI pensavo. La guardai, sorrideva. Seduta elegantemente come una regina, come una Dea. Sentì di nuovo il ringhio che voleva uscire dalla mia bocca.
-Sei sempre Unica.- Risi, di me stessa, lei lo sapeva di esserlo. Lo diceva a chi prendeva sotto la sua ala. E godeva nel sentirselo dire. Stavo facendo il suo gioco. Posai il bicchiere e lo riempii con un liquido ambrato, non sapevo nemmeno cosa fosse, avevo bisogno di bruciare dentro. Altrimenti avrei bruciato di nuovo per lei. Riempii abbondantemente il bicchiere. Bevendone una sorsata eccessiva. Ma il bruciore attenuava, in parte, le mie voglie. Tornai al divano dove era seduta lei, e mi misi seduta accanto. Posai il bicchiere sul tavolino basso di fronte, quasi sbattendolo, e mi voltai a guardarla. Per la prima volta la guardai negli occhi, preso coraggio la baciai, con forza, con frenesia. Volevo la sua bocca la sua lingua. Le mie mani posate su quel viso perfetto. Emisi un gemito quando la sentii ricambiare quel bacio. Amavo i suoi baci, era come scoprire un altro mondo, era dolce, lenta . Non aveva mai fretta in nulla. Le cose frettolose le odiava. E quella mania l’aveva attaccata anche a me. Mi staccai dalle sue labbra e la spinsi indietro prendendo le sue gambe e posandole sulle mie. Le tolsi le scarpe e iniziai a massaggiarle i piedi. Sapevo trovare ogni punto in cui emetteva dei lievi gemiti. Conoscevo ogni sua terminazione nervosa. E continuai a premere con i pollici. Poi mi piegai e iniziai a baciarli a succhiarle le dita, una ad una. A leccare lasciando scie di saliva. Salendo alle caviglie, salendo alle ginocchia. La guardai. Quel sorriso che amavo e odiavo era sulle sue labbra. Spostai le mani sulle sue cosce, massaggiai anche quelle. Sentivo il suo profumo, mescolato con il suo odore. Salii ancora. Mettendo le mani sotto la sua gonna, salendo e arrivando alla sua femminilità calda, e bagnata. Emisi un gemito posando il viso sulle sue gambe. Le mie mani continuarono l’esplorazione. La mia bocca le baciava le gambe. Le dita si muovevano su di lei. Accarezzai con la punta delle dita ogni sua piega, memorizzandola. Le spostai la gonna e la guardai. Ah, odiavo quel sorrisino soddisfatto e vittorioso. La odiavo. La amavo. Avvicinai la testa, a quel fuoco liquido che aveva fra le gambe. La baciai. La assaggiai, la toccai. Mentre la leccavo, passai una mano su una gamba scendendo e prendendo un piede. Lo massaggiavo mentre con la lingua le toccavo il clitoride. Roteavo la lingua, lentamente, su quel punto che pulsava. Pulsava per me. Respirava veloce. Con il pollice premevo in alcuni punti sotto la pianta del piede, e lei gemeva, e sentivo gocce di fuoco uscire dal suo ventre. Più uscivano piu le raccoglievo sulla mia lingua. Succhiai quelle labbra bollenti, succhiai il clitoride. Morsi piano alcuni punti, fino a sentirla gemere. Dio era esaltante, mi stava permettendo di farlo, stava permettendo a ME di farlo. Ero eccitata. Più lei si bagnava, piu mi bagnavo io. Continuai a leccare ad infilare la lingua dentro a quel vulcano. Premevo con sempre piu forza sulla pianta dei suoi piedi, con una mano, e lei gemeva sempre di piu. Leccai piu veloce il suo clitoride . La sentii tendersi sotto le mie labbra, sentii il suo bacino alzarsi e muoversi a ritmo della mia lingua e poi esplose. Un gemito, e io continuavo a leccarla. Continuavo a sentire il suo ventre contrarsi sotto la mia lingua. Raccolsi ogni goccia di fuoco, ogni goccia di ambrosia che usciva da quella Dea. Quando iniziò a tremare mi fermai. Posai la testa sul suo ventre.
Con una mano mi stavo toccando. Ero maledettamente eccitata. Lei sapeva che lo stavo facendo. Mi stava accarezzando i capelli, come un tempo, quando mi faceva le coccole. Continuai a toccarmi fino ad esplodere fino a godere. Respiravo il suo odore mentre godevo. Rimasi là. Ferma tremante. Alzai la testa, la guardai negli occhi. C’era cosi tanta dolcezza in quello sguardo da farmi quasi male. Mi spostai e tornai a sedere. Tenendole i piedi sulle mie gambe. Presi il mio bicchiere e bevvi un'altra sorsata. Le facevo lievi carezze sul dorso del piede, mentre pensavo a cosa avevo fatto. A cosa mi aveva permesso di fare.
Non capivo se fosse stato qualcosa che era un inizio, o un addio. La guardai di nuovo e di nuovo mi sorrise dolcemente. Potevo combattere con tutto di lei, ma quella dolcezza era dannatamente disarmante. Buttai giù l’ultimo sorso di quel liquido e mi posai sulle sue gambe. La sua mano raggiunse subito la mia testa. Come faceva un tempo. Come avrebbe sempre fatto.
Indifferentemente cosa avremo fatto in futuro. Che percorsi avremmo preso. Entrambe sapevamo che io sarei sempre stata Sua.
Così come io sapevo che ero la sua preferita, lei sapeva di essere la mia Unica. Solo lei. Nessuna poteva eguagliarla. Lei era Lei. E lo sapeva. Era quella consapevolezza a renderla ancora più Unica.
***
Con amore.
Sai che sei Tu la mia Unica.
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